CAPITOLO PRIMO la nave ,il treno e la moto
Samarcanda 14 settembre
“L’idea era buona: venire qui per il mio compleanno,qui ripromettermi di non fumare piu’ e vedere un’altra grandiosa realizzazione della razza umana.
Samarcanda: un nome che sembra cantare,una di quelle mete della fantasia che uno si porta in petto dall’infanzia.
Strana parola: Samarcanda! Si può anche non sapere che e’ una città, non sapere dov’è, non conoscere la sua storia, non legarla a quella di Tamerlano, ma il suo semplice suono,Samarcanda,e’ una promessa.
Almeno era stato così per me e il fatto di trovarmi a soli trecento chilometri di distanza da Samarcanda,il giorno del mio compleanno, m’ha convinto a farmela di regalo.
E di nuovo, una delusione!
Lo champagne sovietico con cui brindo alla mia esistenza e’ tiepido,la puzza del ristorante aggressiva,la cena immangiabile,non solo perché la carne è dura come il legno,ma perché faccio appena in tempo a sedermi che i camerieri cominciano a spegnere le luci e,quando chiedo di portarmi allora subito un pezzo di melone,uno di loro si mette a urlare.
Tutto questo può anche essere divertente,se si pensa che di compleanni col dolce e le candeline uno ne ha già passati fin troppi.
La delusione e’ che di Samarcanda non resta che un nome che canta. La vecchia città e’ morta e una nuova,sovietica, di cemento ha rosicchiato via spazio e fascino a tutto quello che era storico,lasciando solo qua e la alcuni monumenti del passato,come conchiglie vuote,come gli arredi dimenticati d’una piece di teatro che da tempo non si rappresenta più….”
D’un tratto l’altoparlante mi distrae annunciando che si può accedere al garage per lo sbarco imminente riportandomi velocemente alla realtà.
Ero completamente rapito dal libro che stavo leggendo (Buonanotte signor Lenin di Tiziano Terzani) , quasi stessi passeggiando per le vie di Samarcanda ed e’ davvero strano il fatto che, chissà se davvero per caso, me lo sia ritrovato tra le mani.
Già perché é a Samarcanda che io sarei dovuto essere, meta che poi ho barattato per un più sicuro Iran a causa dei possibili problemi per ottenere il visto dall’ambasciata del Turkmenistan.
E anche l’Iran, poi, a qualche mese dalla partenza, mi diventa problematico per le agitazioni causate dal post-elezioni. Benché ospitale e tutto sommato sicuro ho pensato che anche li avrebbero potuto negarmi il visto per evitare di avere stranieri in giro a curiosare; sarebbe stato bello essere testimone di persona di quello che sta accadendo realmente là ma non devo dimenticare un fatto importante: questa volta non sono solo!
E sempre per un visto ho rimesso nel cassetto il sogno di poter raggiungere Vladivostok, sul pacifico, in moto; già perché le autorità russe concedono un visto valido fino a trenta giorni, tempo appena sufficiente a raggiungere Vladivostok: e poi? Ritorno in aereo? Non se ne parla nemmeno, piuttosto ci rinuncio.
Ed eccomi allora qui pronto a sbarcare a Fiume, ex cittadina Italiana ormai croata: Rijieca.
C’è da fa riflettere sul fatto che non esiste un solo traghetto che colleghi delle località italiane, per esempio Bari con Trieste,o Venezia o Ancona;
Un simile collegamento eliminerebbe gran parte del traffico pesante che scorre tra il nord ed il sud: ma non eravamo un popolo di santi, poeti e navigatori?
Chissà, forse tali collegamenti lederebbero altri interessi o semplicemente non sarebbero convenienti, fatto sta che tale servizio esiste in Croazia e grazie a questo abbiamo potuto risparmiare ben 1000km di noiosissima autostrada.
Nordkapp, ecco la meta!
Per molti potrà suonare altisonante, essere sinonimo “del” viaggio dei sogni, eppure in me non causa la benché minima curiosità.
Una volta forse poteva rappresentare un limite, una meta ambita, un viaggio ai confini della nostra civiltà ma ora, se proprio devo essere sincero, mi fa pensare solo a frotte di turisti a sgomitarsi per una foto ricordo, biglietti da acquistare e tasse da pagare: ma perché?
Lo dice la parola stessa: “punto più a nord dell’Europa continentale” . Dell’Europa, appunto , non di un privato; e allora perché devo pagare?
Posso tollerare un museo o un edificio storico ma un pezzo di terra al naturale?
Solita storia: la macchina che produce denaro ha sempre la meglio sulle libertà delle persone.
Che poi, ad essere precisi, Nordkapp non e’ il punto più a nord del “mainland” europeo, trovandosi su un’isola.
Questo primato spetta semmai a Gamvik, semisconosciuta località poco più a est di Nordkapp, in Norvegia, che già per questo suo non stare sotto i riflettori mi sta più simpatica.
Ecco che così nasce il motivo portante del viaggio, lo scopo, il fine ultimo:
noi percorreremo quasi undicimila chilometri per la nostra tanto amata Europa non per raggiungere Nordkapp ma semplicemente per esprimere il nostro dissenso;
a pochi chilometri da Caponord, infatti, al primo cartello, ci faremo una bella foto ricordo con un bel gesto dell’ombrello; non voglio arrivare a Caponord!
un viaggio per viaggiare, insomma,non per mostrare una toppa o renderci “fighi” per un luogo comune.
Ma la mente umana, si sa, ha sempre bisogno di un anelito,un qualcosa di materiale da prefiggersi come meta, qualcosa da desiderare che stimoli la curiosità;
Il mio e’ Kirkenes, piccolo villaggio di pescatori all’estremo nord-est della Norvegia, a pochi chilometri dal confine russo,dove anche i segnali stradali sono in cirillico.
Questa Russia mi attrae e mi spaventa: mi attraggono le sue ex-repubbliche sovietiche del Caucaso e dell’ Asia centrale, mi attrae la sua lontanissima Vladivostok, mi attraggono i suoi echi lasciati qua e la nell’Europa dell’est.
Mi torna subito in mente quella foto che ho fatto ad Ohrid,in Macedonia,ad un cartello stradale che indicava a destra, a pochi chilometri, la frontiera albanese; una foto tutto sommato scialba ma per me carica di significato: “Io in Albania ci andrò, prima o poi, sono troppo curioso di andarci” furono le parole che mi dissi; ed infatti ci sono andato, per ben due volte.
Lo stesso spero di fare con l’ex Unione Sovietica.
Da Rijeka una strada scorrevole ci porta direttamente in Slovenia trasformandosi in una sinuosa stradina di collina immersa nel verde; infine Trieste,stazione centrale.
Da Trieste parte un treno delle ferrovie tedesche (treno DB Autozug) che permette anche il trasporto di auto e moto al seguito; un ottimo servizio se si pensa che ci potrebbe portare fino ad Amburgo, nel nord,viaggiando di notte (risparmiando così tempo, benzina e costi per un albergo);
Ho detto bene:potrebbe; potrebbe perché non esiste una biglietteria e il biglietto lo si può prenotare solo tramite internet; perché non lo abbiamo fatto? Perché abbiamo deciso il viaggio solo qualche giorno prima di partire!
Così, più per prassi che per convinzione, proviamo a chiedere qua e la nella stazione senza esito fino a quando la sorte ci porta nell’ufficio di Renata: una donna dalla corporatura e dalla voce da uomo che siede accanto ad un uomo dal carattere di donna; Renata ci da qualche speranza, chiama l’ufficio di Bolzano e, benché la prassi non lo preveda,pagando con carta di credito, si farà spedire i nostri biglietti a mezzo fax nel suo ufficio; Wow..che bello quando i tasselli di un puzzle si vanno ordinando uno dopo l’altro.
Provvedo subito ad ufficializzare la mia decisione di rendere Renata una santa offrendole qualcosa al bar ma lei timidamente rifiuta:meglio!
Nel frattempo ne approfittiamo per visitare Trieste con Andrea,che ci fa parcheggiare in un parcheggio pubblico a pagamento sicuro che le moto non debbano pagare alcunché..”almeno cosi e’ ad Udine”,ci dice.
Difatti al nostro ritorno ecco due belle richieste di pagamento;
Ora la faccenda si fa psicologicamente ed umanamente interessante, venendo a confronto due mentalità differenti: la sua, nordica, che subito con fare minaccioso si dirige verso l’ufficio preposto per discutere dell’accaduto,forte della sua convinzione di essere nel giusto e la mia, meridionale, abituata ai muri della burocrazia ed alle porte che sia aprono solo con la chiave giusta.
Mentre lui percorre i quasi duecento metri che lo separano dall’ufficio io ho un lampo di genio,faccio un giro del parcheggio cercando per terra ricevute di pagamento delle auto andate via e che coprano l’arco temporale per il quale ci è stato contestato il pagamento;
ne trovo solo uno ma poi, vedendo un’auto di turisti olandesi in procinto di andar via, li presidio pregandoli di darmi la loro ricevuta.
I poverini devono aver pensato che fossi un vigile o un preposto e quindi cedono il tanto agognato tagliandino;
eccomi qua:”abbiamo due moto parcheggiate con le relative ricevute di pagamento,non vi siete accorti di ciò? Abbiamo delle moto, non un’auto,non c’e’ il parabrezza per esporre la ricevuta,suvvia, non potevate controllare più attentamente? ”
“Si, batterò sul tasto della loro superficialità”, penso, mentre raggiungo Andrea che nel frattempo già discute animosamente.
Alla fine se la cava con una tassa da dieci euro per un’ora di parcheggio “ma credimi, Andrea, la prossima volta lascia fare a me e quei soldi sarebbero stati meglio spesi in cibo e leccornie”.
Verso mezzogiorno riceviamo finalmente la tanto desiderata conferma dei nostri biglietti e soddisfatti ne approfittiamo per fare la spesa per il pranzo;
la stazione di Trieste é piccolina, poco affollata, pulita e ben tenuta;
mentre aspettiamo seduti nella hall osservo curioso la gente intorno che va e viene: una suadente latinoamericana vestita di giallo,un vecchio barbone che scatta letteralmente via all’entrata di un poliziotto in divisa che tiene per mano una bambina rom che piange disperatamente.
Al momento di caricare le moto (parcheggiate a 50mt dalla stazione) succede il misfatto: non un minuto prima e neppure uno dopo; esattamente quando siamo nel traffico ci coglie un acquazzone infernale che lava via qualunque cosa ,compresa la mia rabbia che così diventa placida rassegnazione
Nel caricare le moto sul treno sento già accenni di mentalità nord-europea; la moto te la devi caricare tu, da solo, sul treno,tu devi posizionare le quattro brache che ti consegnano per poter ancorare la moto;
per non parlare poi dell’attraversare quei lunghi vagoni , alti poco più di un metro e sessanta sulla mia alta Honda; sono costretto a guidare spalmato sul serbatoio, senza poter guardare in avanti, col rischio che il casco mi urti sopra, attento a seguire il binario per evitare di cadere; da noi non sarebbe permesso: troppo pericoloso,anzi, più che altro troppe possibili richieste di risarcimento,contestazioni ecc. quindi procedure atte ad evitare ciò ,tempi di carico più lunghi ecc.
qui, si e’ vero, ho rischiato l’osso del collo ma in trenta secondi è tutto fatto.
Mi giro, guardo Marilena, mia compagna di vita e di viaggio che e’ dietro di me, anche lei sana e salva.
Il treno parte mentre fuori comincia a piovere; sotto il grigiore delle nuvole penso alla gente sul traghetto prima di approdare a Dubrovnik, al chiassare della gente con accento pugliese, napoletano;
poi verso Rijeka :vociare di genti slave,interrotto raramente da qualche isolata frase in italiano; lineamenti che cambiano, capelli che diventano sempre più biondi,ragazze snelle, capelli lisci e occhiali da diva (tipici delle ragazze slave);
ora qui, sul treno, ancora un’altra lingua,lineamenti sempre più differenti, biondissime ragazzine ariane senza fianchi, ogni tanto una parola in italiano ma con accento torinese, trentino o milanese, famiglie intere che si intrattengono chiuse nel loro scompartimento in silenzio.
Riprendo a leggere il mio libro,mentre il mio viaggio reale continua a bordo di un treno in direzione nord attraversando Austria e Germania, quello della mia mente corre verso est e intorno a me un motociclista dal volto butterato aspetta di tornare a casa dopo aver viaggiato tutta la notte da Tirana, una donna tedesca non più alta di centocinquanta centimetri organizza la nostra vita di cuccetta e Marilena ritocca le sue unghie.
Buonanotte.
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